venerdì 1 febbraio 2019

Decreto Sicurezza: uno strumento di propaganda alla ricerca di consenso elettorale




Il ddl sulla sicurezza, chiamato anche "decreto Salvini" è stato fortemente criticato dal Partito Democratico sia per l’impostazione che per i contenuti.

Innanzitutto sovrappone in modo scontato e automatico il tema della sicurezza e quello dell'immigrazione affrontando quest'ultimo argomento solamente in modo propagandistico, giudicando l’immigrato solo per la sua condizione e non per i suoi comportamenti e cavalcando la rabbia e la paura di molti italiani anche in assenza di quell'emergenza che potrebbe giustificare misure straordinarie. Se poi si entra nel merito delle misure contenute nel decreto, queste appaiono non solo inefficaci ma addirittura controproducenti per gli effetti che determineranno. Si mira a distruggere un sistema che certo può essere migliorato ma che ha dimostrato di poter funzionare senza prevedere un’alternativa e per giunta senza prevedere risorse adeguate per favorire i rimpatri.

Entrando nel merito del testo, l'abolizione dell'istituto della protezione umanitaria è il provvedimento più importante del decreto. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella lettera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, contestualmente all'emanazione del decreto legge su migranti e sicurezza, ha richiamato l'articolo 10 della Costituzione nel quale si  afferma che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici". L’istituto della protezione umanitaria, che si aggiunge alla protezione internazionale, riconosciuta in tutta l'unione Europea, nelle due forme dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria, è stato introdotto per dare piena attuazione all'articolo 10 della nostra Costituzione, e all'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che ha consolidato il divieto di espellere o respingere "in qualsiasi modo,  un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate".
Con il "decreto Salvini" questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure e dalle commissioni territoriali e sarà "sostituito"  da un permesso di soggiorno per alcuni "casi speciali", cioè per alcune categorie di persone e in caso di "atti di particolare valore civile".
Tra questi casi non rientrano i minori non accompagnati che, una volta usciti dal sistema di protezione dello Stato e senza una famiglia che li sostenga, rischieranno di trovarsi privi di qualsiasi forma di protezione e in condizione di particolare vulnerabilità. Aver reso più difficoltoso il rilascio dei permessi significa che molti stranieri si troveranno in una situazione di soggiorno irregolare.

Arriviamo quindi al paradosso di un decreto che è stato presentato come uno strumento con cui combattere l’illegalità ma che invece produrrà illegalità e di conseguenza insicurezza sia reale che percepita.

Se ad una persona si da la prospettiva di un percorso di integrazione che prevede la possibilità di un permesso di soggiorno, di poter trovare un lavoro, di avere una residenza, di poter accedere a tutti i servizi offerti ai cittadini Italiani, allora la persona sarà stimolata e avrà tutto l’interesse ad una condotta di un certo tipo. Se invece la si emargina, facendola diventare irregolare, sarà indotta ad avvicinarsi ad attività illegali.

Un altro provvedimento che riteniamo gravissimo è lo smantellamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che è il circuito di accoglienza gestito dai Comuni e considerato un modello virtuoso che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, consente di accedere, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi in materia di asilo.
Con l’approvazione del decreto, questi servizi di accoglienza territoriale saranno limitati a chi è già titolare di protezione internazionale oppure ai minori non accompagnati. Coloro che invece sono in attesa di vedere definito il proprio “status” saranno invece trasferiti nei centri di accoglienza straordinaria (Cas), gestiti dai prefetti e non dalle amministrazioni locali, organizzati per gestire le emergenze e che prevedono standard di accoglienza più bassi e nessun obbligo di rendicontazione.
Negli Sprar le condizioni di vita sono dignitose e in quanto si tratta di centri di piccole dimensioni dal momento che i rifugiati possono essere soltanto tre ogni mille abitanti con una gestione che si è dimostrata sicuramente più semplice per i comuni e che ha consentito di evitare la concentrazione di persone nei grandi centri con la risoluzione delle tensioni sociali che qui si sono create.

Invece di potenziare il sistema di accoglienza diffusa gestito dai comuni che in questi anni hanno permesso percorsi di inclusione, si sceglie di rafforzare la logica emergenziale dei grandi centri che oltre a non garantire alcuna integrazione, spesso genera, a causa di controlli insufficienti, abusi e malversazioni.

Un altra misura che è stata criticata è quella che sposta i giorni limite entro i quali i gli stranieri possono essere trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) da 90 a 180 giorni.
Inoltre il decreto prevede che gli stranieri richiedenti protezione internazionale possano essere trattenuti per un periodo di tempo fino a 30 giorni nei cosiddetti hotspot, centri di prima accoglienza per l'identificazione e lo smistamento dei migranti.

Quindi, una persona che giunge sul suolo Italiano può essere trattenuto 30 giorni negli Hotspot e 180 giorni nei Cpr. Una vita da reclusi senza aver compiuto nessun delitto!

Il decreto interviene inoltre in senso decisamente restrittivo sulla legislazione che regola il diritto di cittadinanza, consentendo che la domanda di acquisizione della cittadinanza possa essere rigettata anche se il richiedente è coniuge di un/una cittadino/a Italiano/a, raddoppiando da 2 a 4 anni il termine dei procedimenti amministrativi di riconoscimento della cittadinanza ed introducendo la possibilità che la cittadinanza venga revocata a seguito di condanne definitive per particolari tipi di reati. In questo caso non è importante valutare il tipo di reato, che può essere anche gravissimo, ma la disparità che verrebbe introdotta e che viola il principio costituzionale di uguaglianza in quanto per lo stesso reato un cittadino di nascita o adozione non si vedrà mai revocata la cittadinanza italiana.

1 commento:

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