Oggi Giuseppe
Civati ha annunciato la sua uscita dal Partito Democratico, ecco cosa ha
scritto ai suoi sostenitori:
Il mio è
un messaggio per gli elettori del pd e del centrosinistra: mi dispiace, per me,
per voi. Mi dispiace deludere alcuni di voi e condividere la delusione di chi
deluso è già da molto tempo.
Come
molti, non mi sento rappresentato da questa situazione. Lo ripeto da qualche
giorno: non ho più fiducia in questo governo, nelle sue scelte, nei modi che ha
scelto, negli obiettivi che si è dato.
Non ne
ho avuta personalmente fin dall'inizio, quando si scelse di proseguire con le
larghe intese: avevamo deciso che durassero solo due anni, che sarebbero
scaduti già, mentre abbiamo deciso di andare avanti fino al 2018, cambiando
premier – in quel modo sobrio e istituzionale che tutti ricorderete – ma senza
cambiare il programma di governo. Senza nemmeno scriverlo, per altro, con i
risultati che sappiamo. Votai quella fiducia solo per rimanere nel PD, lo
spiegai allora, solo perché mi ero appena candidato al congresso e per rispetto
degli elettori (che pure nella consultazione che avviammo si divisero
esattamente a metà).
Non ho più fiducia perché dopo la fiducia
della scorsa settimana, non si può chiudere così, come se fosse solo una
parentesi, come se questo non costituisse un precedente.
Per ragioni di coerenza passo al gruppo misto,
nella considerazione che anche il gruppo del PD lo sia diventato, avendo
accolto parlamentari di tutte le provenienze.
Ciò
comporta, come conseguenza, che io lasci il PD, cosa che non avrei mai fatto,
ma ormai il PD è un partito nuovo e diverso, fondato sull'italicum e sulla
figura del suo segretario. Chi non è d'accordo, viene solo vissuto con
fastidio. C'è stato il jobs act, lo sblocca Italia, un inquietante decreto sul
fisco smentito solo un po', la riforma della scuola che ha unito tutti gli
insegnanti che votavano il PD (dall'altra parte).
Non lo faccio per aderire a un progetto
politico esistente, ma per avviare un percorso nella società italiana, alla
ricerca di quel progetto di cui parlai un anno fa, che ho sempre avuto nel
cuore.
Nessuna polemica con chi nel PD rimane, solo
l'auspicio di ritrovarsi un giorno, a fare cose diverse da quelle che si stanno
facendo ora.
E certo
mi dovrei dimettere da parlamentare, fare come ha fatto Walter Tocci (che
fortunatamente è ancora senatore), ma faccio notare che mi dimetto volentieri
se lo fanno anche tutti gli altri: se cioè si andasse a votare, anche subito,
ciascuno con il suo programma, per darsi una vera legittimazione.
Non c'è calcolo, in questa scelta: ho
rinunciato a una ikea di poltrone, ho detto scherzando, proprio in ragione
delle mie posizioni. Non è per il potere. Non è per fare danni.
Da sei
mesi dico che la situazione non regge, che a primavera sarebbe arrivata
l'inevitabile e forse cercata rottura, almeno per me, la goccia che fa
traboccare il vaso. Molti ridevano, molti facevano spallucce. E invece.
Da tempo
mi sento una particella di sodio, e penso che le 'minoranze' del PD si siano
mosse tardi, condividendo scelte sbagliate e attardandosi in tatticismi del
tutto incomprensibili e controproducenti. Sono arrivati tardi e non sono stati
decisivi.
A
sinistra si dice non c'è niente, e invece tra i ceti popolari tra poco arriverà
Grillo (che si è già insediato) e anche Salvini. E non è una battuta.
Si può essere critici senza essere volgari, si
può coltivare la coerenza come voleva Gobetti (vero antidoto per lui al potere
per il potere), si può banalmente fare quello in cui si crede, che si sente
profondamente.
Di fronte al trasformismo di tutto e di tutti,
personale e collettivo, sono rimasto fermo e noioso sulle mie posizioni, mentre
tutto intorno a me cambiava, vertiginosamente.
Non
avrei voluto fare questo disastro nel bel mezzo della campagna elettorale, ma
non è colpa mia: è stato Renzi a voler aprire lo scontro proprio nelle
settimane precedenti alle elezioni. Posso solo dirvi che i candidati che avrei
sostenuto nel PD, penso vadano sostenuti ancora e a maggior ragione: come Anna
Rita Lemma e Elvira Tarsitano in Puglia e Milene Mucci in Toscana e Andrea
Ragazzi e Roberto Fasoli in Veneto e Regina Milo in Campania.
Per la Liguria,
come già per il gruppo misto, raggiungerò Luca Pastorino. Che ha anticipato con
coraggio la scelta che ora tocca a me.
Rimango
in parlamento a fare le cose che ho sempre promesso di voler fare, prima,
durante e dopo, che trovate qui.
Mentre
in questi mesi si discuteva nel PD, ho frequentato la sinistra e la società.
Per
prima cosa mi dedicherò al partito degli astensionisti, il partito più grande,
che vincerebbe le elezioni direttamente al primo turno per dare la risposta a Saramago
e al saggio sulla lucidità e a quelli che in quel romanzo si chiamano «biancosi».
Perché
questa non è solo una fine, è anche un inizio.
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